La Genova di Bacci Pagano (Il Melangolo, 2009) è un libro che nasce dalle splendide immagini di Patrizia Traverso e Gianni Ansaldi: attraverso suggestivi scorci della città e del suo centro storico, tra carruggi, piazze, palazzi, negozi e bar, i due fotografi hanno cercato di interpretare proprio la Genova in cui Bruno Morchio ambienta le avventure di Bacci Pagano, investigatore privato diventato ormai simbolo e bandiera della genovesità letteraria. Con il suo ultimo romanzo, Il profumo delle bugie (Garzanti 2012), lo scrittore e psicologo genovese sembra invece cambiar direzione:
1) Dopo sette romanzi ed un libro di racconti con un personaggio, Bacci Pagano, ha deciso di scrivere un romanzo non di genere, senza il personaggio ed in terza persona. Come mai?
Forse perché mi piacciono le sfide, nella vita come nella scrittura. Le cose difficili mi intrigano. Del resto anche i romanzi che hanno per protagonista Bacci Pagano non sono assimilabili l’uno all’altro. Redigere un romanzo è faticoso e ci vuole una notevole motivazione per farlo. Scrivere sette volte lo stesso libro sarebbe mortalmente noioso. Così ho giocato con la libertà che il noir fornisce all’autore e “ho giocato” con generi diversi (dal giallo “quasi” classico al romanzo psicologico a quello storico alla spy story). Certo con Il profumo delle bugie sono andato oltre, sia nella scrittura (per quanto metà dei capitoli di Rossoamaro sono scritti in terza persona) che nella tematica, confezionando una storia che è anch’essa di genere (io la definirei grottesco borghese). Perché l’ho fatto, sottoponendomi alla fatica di un secondo esordio? Diciamo che mi piacerebbe raggiungere un pubblico nuovo, che non ama i gialli, sperando di suscitare curiosità per le mie storie precedenti, che in effetti non sono affatto gialli, né thriller”, ma semplici romanzi, dove l’indagine è un filo rosso che consente di attraversare i territori più diversi (Genova e le sue diverse classi sociali, profili culturali e psicologici oggi dominanti, drammi sociali del presente e del passato, i grandi temi del nostro tempo, dall’immigrazione alla finanziarizzazione globale dell’economia). In fondo, da tempo nutro il sospetto che l’etichetta di genere non mi giovi, neanche commercialmente: chi ama il thriller resta deluso e chi ama la “letteratura senza aggettivi” non compra i miei libri.
2) Genova grande amore nei precedenti ed anche in questo?
Anche in questo, ma con una differenza fondamentale: per quanto i luoghi siano riconoscibilissimi (c’è anche una battuta in dialetto calabro-genovese) la città non è mai nominata e non compare alcuna toponomastica. Un’operazione analoga a quella di Tabucchi ne Il filo dell’orizzonte. Una volta tanto non sarò utilizzabile come guida turistica della città. Credo che, in definitiva, questo tolga poco alla presenza materiale della città sulla pagina, colta in certi aspetti particolari (come l’infestazione dei gabbiani, o le campane assordanti o il clima).
3) Crede che tornerà a scrivere romanzi con Bacci Pagano protagonista?
Ho già inviato il soggetto del nuovo Bacci al mio agente. Il romanzo l’ho già tutto in testa, titolo compreso, e devo solo cominciare a scriverlo.
4) Il primo libro di Bacci Pagano esce nel 2004. Da allora sono trascorsi otto anni e otto libri che l’hanno consacrata tra gli scrittori più rappresentativi di questa città. Cosa significa oggi per Lei essere scrittore?
È una condizione di grande privilegio. Scrivere e contare su un pubblico (più o meno vasto, la differenza è solo economica e non tocca la qualità del lavoro) che aspetta i tuoi libri e si innamora dei tuoi personaggi procura una sensazione di grande soddisfazione e anche un po’ di responsabilità. Rimango convinto che la scrittura sia un atto politico in quanto promuove conoscenza o mistificazione della realtà (che lo scrittore lo sappia o meno). Poi c’è l’altro aspetto, più intimo, che attiene al rapporto con la pagina bianca (oggi è lo schermo di un computer), all’atto di scrivere in sé, che resta comunque un’esperienza complessa, fatta di fatica, piacere, dolore, ed esige la capacità di fare il vuoto intorno a sé, di immergersi nel silenzio (che per me è assicurato dalla musica) e di mettersi in ascolto di quello che arriva da dentro. Intendiamoci: non sto parlando di un’esperienza mistica, né dell’ispirazione romantica. Semplicemente dei requisiti di base per comporre una storia scritta “bene” che arrivi al lettore e lo emozioni. Qualcuno ci riesce anche su un treno o al tavolino di un caffè affollato. Non è il mio caso.
M.L.H.
Questo articolo è pubblicato nel quinto numero del trimestrale di informazione immobiliare FIAIP genova informa nella sezione L’angolo della cultura a cura di Enrico Haupt.
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