I naviganti genovesi nei loro viaggi incontrarono popoli diversi per forma di vita e di pensiero. Affascinati dal mondo bizantino, dallo sfavillio degli ori e delle gemme delle Corti dei Sultani, nacque in loro il desiderio di imitarli ma in modo semplice e pratico, in perfetta sintonia con lo stile genovese.
Incominciò così l’attività degli argentieri genovesi, i Fraveghi, nelle botteghe di San Matteo, di Piazza Soziglia e poi in via Orefici. Durante il Rinascimento Genova volle in argento i “Piatti da Parata” ma soprattutto i piatti che decoravano le dimore nobiliari, piatti sbalzati e “stagnare”, ovvero brocche, esposti sui gradi delle “credenze”: questi manufatti raggiunsero un vertice qualitativo tra la metà del sec. XVI e i primi decenni del XVII, ovvero in quello che è detto “il secolo dei genovesi” (della grande finanza genovese). Espressioni altissime dell’arte furono gli argenti ecclesiastici tra cui i famosi “Cristi”, grandi croci con l’’”I.N.R.I.” e i “Canti”, ovvero la parte finale dei bracci, rivestiti in argento con decorazioni leggere come foglie o fiori.
La produzione più nota è del Settecento, meno monumentale ma legata in modo più sottile (e per il gusto dei genovesi più comprensibile ed elegante) al decoro di gusto rocaille importato dalla Francia. Essa trovò inizialmente un’importante diffusione nelle grandi famiglie dei Doria, Grimaldi, Pallavicino e Spinola, per poi farsi capillare e quotidiana anche nelle case popolari come argenteria profana per le apparecchiature da tavola, della scrittura e dell’illuminazione.
In molti casi, l’argenteria genovese manterrà stilemi rococò anche quando la tendenza generale sarà per un fare più composto, ormai pre-neoclassico. Dal punto di vista tecnico bisogna sapere che l’argento e l’oro, troppo deboli per essere lavorati allo stato puro, sono rinforzati con il rame. Tale lega ha un “Titolo” – ad esempio 800/1000 dove 800 indica l’argento e 200 il rame – impresso sull’oggetto. Il marchio per l’argento è detto Punzone e quello genovese, famoso per secoli, è stato la Torretta, castello stilizzato con due torrette laterali, impresso in Liguria solo a Genova alla zecca dai marcatori (due eletti ogni anno) per attestare che la lega fosse quella prescritta dalla legge. Non tutti gli argenti erano marcati: l’argenteria genovese in parte era caratterizzata dall’anonimato.
Tutto ciò ha trovato recentemente testimonianza in molte pubblicazioni, tra le quali spicca “L’argenteria genovese del Settecento” risultato dello studio condotto con tenacia, rigore e passione da Franco Boggero e Farida Simonetti che lavorano dal 1980 presso la Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico della Liguria nell’ambito della quale hanno condotto studi appunto sull’argenteria genovese e ordinato mostre sull’argomento. Fondamentale repertorio di oltre mille esemplari ordinati cronologicamente e per tipologie “sacre” e “profane” che evidenzia le dinamiche dell’evoluzione stilistica fornendo agli studiosi, per la prima volta, un ampio e ordinato tappeto di confronti e un ricco dizionario biografico con più di settecento nominativi.
Omaggio alla genialità dell’artigiano, alla cultura e storia della Liguria e di Genova da parte della Fondazione e della Banca Carige che ha promosso questa pubblicazione con il prestigioso editore Umberto Allemandi & C.
M.L.H.
Questo articolo è pubblicato nel sesto numero del trimestrale di informazione immobiliare FIAIP genova informa nella sezione L’angolo della cultura a cura di Enrico Haupt.